mercoledì 8 agosto 2012

IL CORAGGIO DI MOSTRARE LA FACCIA

Abbiamo letto da poco delle severe condanne per il reato di devastazione, che sono state inflitte ai dimostranti responsabili dei disordoni e degli atti di "vandalismo ideologico"  a Genova.
Personalmente ritengo che le pene siano eccessive, soprattutto in considerazione che, per i reati contro le persone, di cui si sono resi colpevoli gli agenti intervenuti alla scuola Diaz, le pene sono state assai più lievi, in presenza di fatti, tutto sommato, più gravi.
Quanto alle deologie dei  no-global o degli anarchici insurrezionalisti, penso   che ogni esternazione del pensiero che abbia ad oggetto la libertà, l'uguaglianza dei diritti e la giustizia, debba essere sempre liberamente manifestata e possa essere  condivisa, quanto al contenuto.
E' però importante che l'ideologia che si intende abbracciare sia sempre la conseguenza di un sofferto processo  di maturazione intellettuale.
Si è anarchici se si condivide il pensiero di Proudhon o di Bakunin e si è innamorati di Tolstoj; oppure, se si è spinti ad un estremo individualismo, occorre aver letto  Max Stirner.
Non ci si può definire anarchici perchè si indossa un passamontania e si va a far chiasso in gruppo; tantomeno se si sfasciano le  vetrine, sia pure delle banche.
Cio che, comunque,  mi irrita di più  degli odierni autodichiarati anarchici in nome della giustizia sociale, è il fatto che si coprano il volto con passamontagna, caschi e maschere antigas per non essere identificati durante le manifestazioni.
Se si ritiene, infatti,  di essere  detentori di una qualche verità filosofica, occorre avere il coraggio di manifestarla a viso aperto.
Se si scende per le strade e si sventolano bandiere, non ci si può coprire il volto.
E' piuttosto ridicolo indossare una maglietta con l'effige di Che Guevara e nascondere il proprio viso. E' come dichiarare: "Lui ha avuto il coraggio di combattere a viso aperto e di guardare in faccia il boliviano che lo ha ucciso; io non ho il coraggio di mostrarmi allo scoperto. Magari mammina mi vede per televisione e poi mi sgrida!".
Certo la Carboneria era una società segreta, ma durante i moti i rivoluzionari  sfidavano il potere a volto scoperto, sapevano di rischiare l'impiccagione o la fucilazione.
Occorre che i figli dei figli, dei figli di Andrea Costa e di Gaetano Bresci conoscano i loro padri.
Bisogna che sappiano cosa è veramente il coraggio.  Grazie a internet (uno dei pochi vantaggi della globalizzazione) sarà loro sufficiente andare su  Wikipedia e documenttarsi.
Ma non basta sapere, occorre interiorizzare; perchè la storia va rivissuta dentro per poter renderla sempre viva ed attuale, occorre immaginarla, quasi fosse un film.
Occorre immaginare .....
Immaginiamo Gaetano nell'atto di stringere in mano il giornale,  aveva smesso di piangere.
- Infame ! - ripeteva fra sè - non può essere; qualcuno deve fare qualcosa. Qualcuno deve agire, deve dare l'esempio-
Non si sarebbe più recato in fabbrica per alcuni giorni, chiuso in casa ed in se stesso meditava cosa avrebbe potuto fare lui, dall'altra parte dell'oceano, per i suoi fratelli italani, perchè la morte di quei miserabili trucidati dalla mitragliatrice, mentre erano in coda per ricevere la minestra dei frati, non fosse dimenticata.
Non si sapeva se l'ordine di sparare sulla folla provenisse direttamente da Re Umberto I, certo il Re aveva insignito, alcuni giorni dopo, il generale Fiorenzo Bava Beccaris della Croce di grand'ufficiale dell'ordine militare di Savoia «per rimeritare il servizio reso alle istituzioni e alla civiltà». 
Era successo che, per sedare la "protesta dello stomaco" (così venne chiamata la protesta del popolo milanese  del 1998 per l'aumento del prezzo del pane - protesta di manzoniana memoria-), l'esercito, comandato da Bava Beccaris, aveva aperto il fuoco sulla folla, sicuramente minacciosa ma inerme, causando la morte di circa cento manifestanti ed altrettanti feriti.  
L'anarchico Bresci era emigrato, come migliaia di altri Italiani, in America e lì aveva appreso i drammatici fatti di Milano,  leggendo il giornale. Traumatizzato da quell'evento aveva meditato a lungo e poi si era deciso, avrebbe ucciso il Re.
Gaetano acquistò una rivoltella Hamilton and Booth e, salutata la moglie e la figlia, si imbarcò per l'italia, ove giunse il 17 Maggio del 1900;  il  29 Luglio  era lì, a Monza,  davanti la carrozza scoperta del Re, che stava tornando alla sua residenza estiva dopo aver assistito ad un'esercitazione ginnica.
A volto scoperto, in mezzo alla folla ed ai carabinieri, con lucida coscienza, forse senza odio, compì il suo gesto, tre pallottole al cuore del Re.
Al proceso dichiarò:
«Non ammazzai Umberto; ammazzai il Re, ammazzai un principio! E non dite delitto ma fatto!»
«I fatti di Milano, dove si adoperò il cannone, mi fecero piangere e pensai alla vendetta. Pensai al re perché oltre a firmare i decreti premiava gli scellerati che avevano compiuto le stragi.»
Fu condannato all'ergastolo, rinchiuso in una cella di tre metri per tre in isolamento e, con tutta probabilità. suicidato dallo stato.
Non è dato sapere se e dove sia stato seppellito. Si dice che il suo corpo fu gettato in mare.
Rileggendo la storia di Bresci e di tanti altri che pacificamente o con le armi hanno combattuto per le proprie idee, non si può  provare che pena per quei giovani violenti, ma codardi, disadattati sociali senza vera fede, che indossano un casco o una maschera antigas per poter impunemente scaricare la violenza che hanno dentro.
Violenza che indirizzano non solo nei confronti dei simboli del capitalismo (banche, catene di negozi ecc.) ma contro altri giovani, che difendono altri valori;  l'ordine pubblico e lo stato democratico.
Per concludere; fu un carabiniere che sottrasse Bresci dalla folla inferocita che voleva linciarlo.

Luigi Riccio





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