domenica 6 ottobre 2013

QUI GIACCIONO I MIEI CANI - D'ANNUNZIO E IL TRIONFO DELLA MORTE

Qui giacciono i miei cani            
gli inutili miei cani,
stupidi ed impudichi,
novi sempre et antichi,
fedeli et infedeli
all’Ozio lor signore,
non a me uom da nulla.
Rosicchiano sotterra
nel buio senza fine
rodon gli ossi i lor ossi,
non cessano di rodere i lor ossi
vuotati di medulla
et io potrei farne
la fistola di Pan
come di sette canne
i’ potrei senza cera e senza lino                                 
farne il flauto di Pan
se Pan è il tutto e
se la morte è il tutto.
Ogni uomo nella culla
succia e sbava il suo dito
ogni uomo seppellito
è il cane del suo nulla.
 
Gabriele D’Annunzio, ottobre 1935


Per  alcuni questi versi  appaiono come la dichiarazione, in extremis rilasciata dal Poeta, della propria sconfitta esistenziale e quindi artistica; quasi che la crudezza delle parole e delle immagini, ritenuta confliggente  con la sua antecedente poesia, rappresenti una  resa di fronte alla vacuità del tutto. La morte ridurrebbe vano ogni sforzo di sublimazione, la vita dell'uomo si ridurrebbe dunque solo ad una mera consunzione  di se stessi che ha  inizio fin dalla culla.
Ho letto giudizi superficiali, sul testo in questione, frutto di una prevenzione nei confronti del Poeta che spesso ha radice ideologica e politica; commenti di chi considera l'opera di D'Annunzio una mera artificiosa costruzione estetica, priva di profondità .
Costoro a mio avviso non comprendono che il valore e la qualità letteraria e poetica di D'Annunzio sono frutto, in parte, proprio dalla sua estenuate, pervicace, ed a volte  dolorosa, ricerca della "bellezza".
La bellezza, o meglio l'arte, ce lo dice Croce, è intuizione, immagine che non nasce dalla volontà e non tende alla morale (Benedetto Croce "Breviario di Estetica"), in questo senso, e condividendo il pensiero del nostro filosofo,  non comprendo le censure mosse a poeta.
Dovremmo forse svalutare tutta la poesia dell' amor cortese e del dolce stil novo perché, vagheggiando la donna ideale,  Dante, Cavalcanti, Guinizzelli e Lapo Gianni, si discostano dall'impegno sociale e  politico  o non approfondiscono  tematiche morali o psicologiche?
D'altro canto, a prescindere da queste considerazioni e tornando all'argomento in esame, non si può non evidenziare come l'opera di D' Annunzio abbia trattato con grande  profondità proprio il  tema della morte, la sua vita stessa, come quella dei suoi personaggi, mette in risalto l'eterno  dualismo tra eros e thanatos .
Molti poeti del romanticismo, come Foscolo, hanno vissuto vite intense e passionali meditando e scrivendo sulla "fatal quiete", ma nessun poeta come D'Annunzio ha fatto della propria vita un'opera d'arte, ove l'impulso vitale confligge con il desiderio di morte;  la sua ricerca della morte eroica ne è un chiaro esempio, così come l'impulso al suicidio dei suoi personaggi .
La morte per fuggire  ad una vita che non può soddisfare il sogno estetico; la passione per la donna amata che sola può sublimare l'esistenza; l'amore stesso, terreno di un nuovo conflitto interiore tra la volgarità dell'istinto materiale e l'ideale ascetico ...... il suicidio come ineluttabile soluzione.
Questo il tema del "Trionfo della Morte" .
Non stupiscono allora i versi di "Qui giacciono i miei cani"; non sorprende neppure la crudezza delle raffigurazioni, infatti quante terribili  immagini della morte e dello sfacelo della carne troviamo in D'Annunzio!
La biografia del poeta ci dice come egli negli ultimi giorni soffrisse di depressione, cosciente del proprio decadimento fisico e dell'approssimarsi della fine, è stato colto, dunque,  da pensieri oscuri sulla futilità del tutto. Del resto alla "favola bella" che illude Ermione, D'Annunzio probabilmente non aveva mai creduto; certo non fu mai la paura della morte a frenare il suo coraggioso e immaginifico vitalismo. Sicuramente il poeta riteneva, come Nietzsche  che "nell’uomo si può amare che egli sia una transizione e un tramonto" e così ha vissuto il suo arco temporale con una pienezza rara ed irripetibile.

Luigi Riccio


Voglio un amore doloroso, lento,
che lento sia come una lenta morte,
e senza fine (voglio che più forte
sia de la morte) e senza mutamento.

Voglio che senza tregua in un tormento
occulto sian le nostre anime assorte;
e un mare sia presso a le nostre porte,
solo che pianga in un silenzio intento.

Voglio che sia la torre alta granito,
ed alta sia così che nel sereno
sembri attingere il grande astro polare.

Voglio un letto di porpora, e trovare
in quell'ombra giacendo su quel seno,
come in fondo a un sepolcro l'Infinito.
 
da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/poesie/poesie-d-autore/poesia-108337>
                                                                                                              Gabriele D'Annunzio