mercoledì 18 luglio 2012

COLPA PENALE - COLPA CIVILE

LE NOZIONI DI COLPA PENALE E COLPA CIVILE NON COINCIDONO
NON E' LECITO SOSTARE IN CORSIA DI EMERGENZA SE NON SUSSISTE "L'EMERGENZA"
la sentenza Cass. Pen. SEZ.IV, 13 marzo – 18 maggio 2012, n. 19170
la sentenza Corte di Appello di Torino, n.1800/11 - 14/12/2011 - 20/01/12
La Corte di Cassazione ha recentemente ritenuto insussistente la responsabilità penale per il reato di omicidio colposo di un automobilista che si era appisolato sulla corsia di emergenza, per far fronte ad un “colpo di sonno”, creando ostacolo ad altro automobilista che, a causa dello scoppio di un pneumatico, aveva invaso la corsia di emergenza stessa.
Secondo i giudici della Suprema Corte, il colpo di sonno è equiparabile ad un malessere, il che giustifica la sosta in corsia di emergenza ai sensi dell’art. 157 C.D.S. 
Dice la sentenza . Correttamente il GUP ha inquadrato la stanchezza (riferibile nel caso di specie, all'evidenza, in  quella situazione che precede il pericoloso c.d. "colpo di sonno") nel concetto di "malessere" che giustifica la sosta sulla corsia di emergenza ai sensi dell'art. 157 C.d.S., comma 1, lett. d). Invero, il termine "malessere" non può esaurirsi nella nozione di infermità incidente sulla capacità intellettiva e volitiva del soggetto come prevista dall'art. 88 c.p. o nell'ipotesi di caso fortuito di cui all'art. 45 c.p., bensì nel lato concetto di disagio e finanche di incoercibile necessità fisica anche transitoria che non consente di proseguire la guida con il dovuto livello di attenzione, e quindi in esso deve necessariamente ricomprendersi la stanchezza ed il torpore che sono segni premonitori di un colpo di sonno ed impongono al soggetto, per concrete esigenze di tutela per sé e per gli atri utenti della strada, di interrompere la guida”
Invero la Cassazione Penale, Sez IV, si era già pronunciata in un caso analogo, con la sentenza n.7679/2010.
Con la citata decisione i Giudici di p.zza Cavour hanno stabilito che anche lo stimolo alla minzione, se impellente, costituisce valido motivo per l’arresto e la sosta temporanea in corsia di emergenza, ai fini di svuotare la vescica. Il Collegio infatti ha ritenuto pericolosa per l’incolumità altrui, la guida disturbata dal forte desiderio di orinare.
E’ bene precisare che le decisioni richiamate attengono esclusivamente alla responsabilità penale.
Nel nostro diritto, infatti, la nozione di colpa penale e colpa civile non coincidono.
In sede civile l’azione deve essere condotta sulla base e sui presupposti di cui all’art. 2054 C.C., ovvero sulle presunzioni, mentre in sede penale la colpa va ricercata nell’elemento soggettivo del reato.
Cosicché se il giudice penale non ritiene di dover procedere alla condanna, comunque, in sede civile, è consentita l’azione risarcitoria di cui all’art. 2054 C.C., stante il perdurare a carico del danneggiante dell’onere di fornire la prova che lo liberi dalla presunzione di colpa stabilita dalla legge, dimostrando di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.
Ne consegue che non è precluso al giudice civile di valutare gli stessi fatti precedentemente valutati in sede penale ai fini dell’accertamento della responsabilità civile.

Infatti: “In materia di circolazione stradale, le nozioni di colpa penale e colpa civile non coincidono, in quanto il comma 1 dell'art. 2054 c.c. onera il conducente del veicolo senza guida di rotaie della prova positiva di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Pertanto, nel giudizio civile non rileva, di per sé sola, la prova negativa di elementi di responsabilità acquisita in sede penale”. Cassazione civile, sez. III, 22/02/1996, n. 1375
Recentemente, e relativamente ad un caso patrocinato dal nostro studio, la Corte di Appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale, che aveva condannato il conducente del veicolo arrestatosi sulla corsia di emergenza per orinare; la condanna era stata pronunciata in concorso di colpa con il conducente del veicolo che aveva invaso la corsia di emergenza provocando un sinistro dalle gravissime conseguenze.
La Corte, come già il giudice di prime cure, pone la sua attenzione al combinato disposto degli artt. 157, comma lett. D, 158 e 176 comma 1 lett. C, in ordine al concetto ed alla liceità della sosta.
Si legge in sentenza:
“ L’art.158 CdS enumera una serie di ipotesi di divieto di fermata e sosta dei veicoli, senza peraltro menzionare le strade extraurbane a percorrenza veloce, ma il fatto che in tale norma non sia inserito un espresso divieto a fermare i veicoli nella corsia di emergenza di tangenziali e autostrade, al di là di situazioni di emergenza di cui all’art. 157, comma 1, lett.D, non esclude l’illiceità di tale condotta, alla stregua del combinato disposto di tal disposizione di legge e dell’art. 176 CdS che prescrive invece i comportamenti da tenere durante la circolazione sulle autostrade e sulle strade extraurbane principali."
"L’art. 176, comma 1, lett.C vieta infatti di circolare sulle corsie per la sosta di emergenza se non per arrestarsi e riprendere l marcia: l’uso del verbo arrestarsi implica il chiaro riferimento alla precedente nozione di “arresto”, implicitamente escludendo la liceità di una sosta ai di fuori dei casi di “emergenza” ………Ne consegue che intanto sia legittimo sostare sulla corsia di sosta di emergenza in quanto si versi in una situazione di “emergenza”
“Come bene evidenziato dal primo giudice, il normale bisogno di urinare, non può essere, in primo luogo, equiparato a malessere fisico, in quanto è senz’altro , per tutti, un’esigenza di carattere fisiologico e non patologico, fatta eccezione per i soggetta etti da specifiche malattie, ……..Trattasi in secondo luogo di uno stimolo che un adulto può facilmente controllare, per lo meno fino ad una piazzuola o ad un’area di servizio…… "
“Per quanto in astratto condivisibile, non pare infine estensibile ed adottabile tout court al presente giudizio la massima della sentenza della Cassazione Penale invocata dall’appellante ….."
In conclusione , sotto il profilo civilistico, è da considerarsi imprudente ed illecito il comportamento di chi si fermi sulla corsia di emergenza senza esservi costretto da un malore o da un guasto al suo mezzo.
Del resto, una persona dotata di comune esperienza e di buon senso, non può non avvertire una sensazione di pericolo nell’essere fermo in corsia di emergenza di un’autostrada.

domenica 15 luglio 2012

LE RAGIONI DI ANTIGONE

                                                 Foto dell'avvocato Piero Calamandrei
                                                          (tratta da Google immagini)

LE RAGIONI DI ANTIGONE….. Sofocle  e l’avv. Piero Calamandrei
Quando è giusto non osservare la legge ?
E ancora; la legge, come deve essere interpretate dai giudici ? 

Un tema difficile quanto antico, quello della  contrapposizione  tra i valori della legalità e quelli dell’obbiezione di coscienza, che si estrinseca attraverso la disubbidienza civile o la manifesta protesta. Protesta che spesso irrompe nelle piazze con modalità violente ed in certi casi trasmuta in rivoluzione.
Nel 442 a.c., durante le Grandi Dionisie che si svolgevano ad Atene, Sofocle propose questo insidioso argomento ai suoi concittadini, attraverso la rappresentazione della tragedia  “Antigone”.
Alla fanciulla che per anni aveva condotto per mano, nel suo peregrinare, il padre Edipo misero e cieco per volere del fato,  il genio poetico di Sofocle aveva ora riservato altro destino; quello di rappresentare per i secoli futuri il dilemma della scelta tra opposti valori.
E’ legittimo opporsi ad una legge ingiusta? E’ bene che i giudici la disapplichino quando essa è in contrasto con i più alti valori dell’etica, o è bene essere sempre remissivi di fronte all’autorità dello stato, che si esprime attraverso le sue leggi?
L’evolversi del pensiero giuridico ha in parte dato delle risposte, ma il conflitto non è sedato e la casistica delle vicende umane impone costantemente le opportune riflessioni.
Antigone,  si aggira ancora tra noi;  con i suoi corvini capelli scarmigliati ed il suo fiero incedere ispira ancora i nostri pensieri e a volte ha ingresso nei nostri tribunali.
Il 30 marzo 1956 la fanciulla di Tebe condusse per mano il grande avvocato Piero Calamndrei  ed ispirò la sua arringa in difesa di Danilo Dolci.
Dolci, l’intellettuale e poeta soprannominato “il Ghandi italiano”, autore di molte opere e promotore di molte proteste civili, era sotto processo a Palermo per aver  capeggiato una pacifica protesta contro le autorità  siciliane, che non provvedevano a dare lavoro ai disoccupati nonostante la possibilità di impegnarli in utili opere pubbliche. Dolci aveva convinto un certo numero di disoccupati ad iniziare lavori di sterramento e di assestamento in una vecchia strada comunale abbandonata, in prossimità di Trappeto (Palermo).
Era una rimostranza pacifica ed originale, un modo nuovo di scioperare,  venne definito lo “sciopero al contrario”: - mi neghi il lavoro?..... Bene, io lavoro lo stesso e gratuitamente - .
Era la lotta pacifica e civile degli umili contro il potere e contro la mafia.
Era la protesta dei cafoni di “Fontamara”.
Ma  la polizia locale aveva arrestato Dolci ed il Tribunale di Palermo lo processava per la violazione degli artt. 341 (oltraggio a pubblico ufficiale), 415 (istigazione a disobbedire alle leggi) e 633 (invasione di terreni) del Codice penale.
Calmandrei, avvocato antifascista, docente di diritto,  membro dell’Assemblea Costituente del 1945, intellettuale di sinistra, assunse la difesa di Dolci.
La sua arringa avanti ai giudici palermitani è un esempio mirabile di come  la cultura e la tecnica forense, possano giovare alla causa della giustizia.
E’ impossibile per il grande giurista, in quell’occasione, durante quel processo straordinario per risonanza e importanza emblematica, non introdurre in aula, quasi fosse una testimone a discarico, la sempre giovane Antigone: 

Al centro di questa vicenda giudiziaria c'è, come la scena madre di un dramma, un dialogo tra due personaggi, ognuno dei quali ha assunto senza accorgersene un valore simbolico.
E’, tradotto in cruda rossa di cronaca giudiziaria, il dialogo eterno tra Creonte e Antigone, tra Creonte che difende la cieca legalità e Antigone che obbedisce soltanto alla legge morale della coscienza, alle "leggi non scritte" che preannunciano l'avvenire.
Nella traduzione di oggi, Danilo dice: "per noi la vera legge e la Costituzione democratica"; il commissario Di Giorgi risponde: "per noi l'unica legge è il Testo Unico di pubblica sicurezza del tempo fascista".
Anche qui il contrasto è come quello tra Antigone e Creonte: tra la umana giustizia e i regolamenti di polizia; con questo solo di diverso, che qui Danilo non invoca leggi "non scritte". (Perché, per chi non lo sapesse ancora, la nostra Costituzione è già stata scritta da dieci anni.)
Chi dei due interlocutori ha ragione?
Forse, a guardare alla lettera, hanno ragione tutt’e due.
Ma a chi spetta, non dico il peso e la responsabilità, ma dico il vanto di decidere, sotto questo contrasto letterale, da che parte è la verità: a chi spetta sciogliere queste antinomie?
Siete voi, o Giudici, che avete questa gloria: voi che nella vostra coscienza, come in un alambicco chimico, dovete fare la sintesi di questi opposti. 

Ecco che ad un certo punto il giurista  si rivolge ai giudici palermitani esortandoli  a ricercare nella COSTITUZIONE la  soluzione del caso in esame; Calamandrei si fa precursore di quello che oggi, a distanza di cinquant’anni, è un principio consolidato: i giudici devono interpretare le norme in modo “costituzionalmente orientato”.  

 “Ma che cosa sono le leggi , illustre rappresentante del P.M. se non esse stesse "correnti di pensiero"? Se non fossero questo, non sarebbero che carta morta: se lo lascio andare, questo libro dei codici che ho in mano, cade sul banco come un peso inerte.
E invece le leggi sono vive perché dentro queste formule bisogna far circolare il pensiero del nostro tempo, lasciarvi entrare l'aria che respiriamo, mettervi dentro i nostri propositi, le nostre speranze, il nostro sangue e il nostro pianto.
Altrimenti le leggi non restano che formule vuote, pregevoli giochi da legulei; affinché diventino sante, vanno riempite con la nostra volontà………….... Anche oggi l'Italia vive uno di questi periodi di trapasso, nei quali la funzione dei giudici, meglio che quella di difendere una legalità decrepita, è quella di creare gradualmente la nuova legalità promessa dalla Costituzione.
La nostra Costituzione è piena di queste grandi parole preannunziatrici del futuro: "pari dignità sociale"; "rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana"; "Repubblica fondata sul lavoro"; "Diritto al lavoro"; "condizioni che rendano effettivo questo diritto; assicurata ad ogni lavoratore e alla sua famiglia "un'esistenza libera e dignitosa"... 

Il processo a Dolci si concluse come era naturale che si concludesse, con la condanna dell’imputato. Ma come lo stesso Calamandrei aveva predetto nel suo discorso, la storia lo avrebbe ricelebrato sovvertendo la sentenza.
Il grande avvocato aveva immaginato che gli storici, a distanza di anni, avrebbero recuperato i fascicoli polverosi del processo per rivisitarlo alla luce di un più evoluto pensiero giuridico; certo non immaginava, nel 56, che Internet avrebbe dato la possibilità a chiunque di conoscere il processo e di giudicarne i protagonisti.
Questa pubblicazione sul nostro Blog vuole essere un modestissimo contributo alla conoscenza dei fatti ed uno stimolo alla riflessione. 

Luigi Riccio

Si segnala il libro: “Lo stato siamo noi”, edito da Instant Book Chiarelettere, contiene i discorsi di Calamandrei sulla Costituzione e l’arringa del processo Dolci
(Il testo completo della difesa di Danilo Dolci è reperibile su Internet)

martedì 10 luglio 2012

CINTURE DI SICUREZZA

IL CONDUCENTE E' RESPONSABILE AL 50% DEL DANNO PROCURATOSI DAL PASSEGGERO CHE NON INDOSSA LE CINTURE DI SICUREZZA    Corte di Appello di Firenze, sez.II, 20 Febbraio 2012, n.238
la corte di Appello di Firenze ha ritenuto che il conducente sia responsabile quanto il passeggero per il mancato utilizzo delle cinture di sicurezze da parte di quest'ultimo, con ciò launiformandosi alla giuriprudenza della Cassazione penale, la quale aveva già stabilito che Il conducente di un veicolo è tenuto, in base alle regole di comune diligenza e prudenza, ad esigere che il passeggero indossi le cinture di sicurezza ed, in caso di sua renitenza, anche a rifiutarne il trasporto o ad omettere l'intrapresa della marcia (Cass.Pen. sez. IV n.3585/2010).
"E dunque, se la cintura non era indossata, è più colpevole il conducente, che non propose l’aut-aut, o ti metti la cintura o non si parte, o più colpevole la trasportata con una controproposta perentoria: o senza cintura o senza di me? Quando due vogliono o omettono di volere la stessa cosa, come si fa a stabilire chi dei due ha voluto o ha omesso di più, e chi meno? E’ come se le due mani che applaudono questionassero su chi applaude di più. L’omissione dell’uno ha contribuito alla produzione dell’evento esattamente come ha contribuito l’omissione dell’altro; l’attrice non sarebbe andata ad urtare il parabrezza con la fronte sia nel caso che, in mancanza di cintura, il conducente si fosse rifiutato di trasportarla, sia nel caso che fosse stata lei a rifiutare di essere trasportata. Pertanto, il concorso di colpa della danneggiata va stabilito nel 50% rispetto al convenuto; il che vuol dire che essa ha diritto al 75% del danno complessivo. Di nessun significato giuridico l’obiezione (punto 3 dell’atto di appello) che il conducente non sarebbe legittimato ad eccepire il non uso della cintura da parte della trasportata, “dal momento che egli stesso quale conducente dell’auto (…) era tenuto a fare rispettare tale obbligo”. Seguendo un tale ragionamento, neanche l’attrice sarebbe legittimata a rimproverare alcunché al conducente, dato che l’obbligo d’indossare la cintura era suo, non meno di quanto fosse del conducente quello di fargliela indossare. E dovremmo rigettare in toto la domanda."

lunedì 9 luglio 2012

ANATOCISMO incostituzionale la Legge salvabanche

ANATOCISMO: Incostituzionale la Legge "Salva banche" Corte Costituzionale , sentenza 05.04.2012 n° 78
La Corte Costituzionale boccia il nostro legislatore dichiarando incostituzionale la Legge 26/06/2011 n.10 che, in materia di anatocismo bancario, con una sorta di vero e proprio bliz, aveva reso praticamente impossibile richiedere agli istituti bancari la restituzione delle somme da questi ultimi illegittimamente incassate a titolo di interessi sugli interessi.
Infatti la recente norma, ora inapplicabile perchè incostituzionale, sanciva che il diritto del correntista per la richiesta restitutoria si prescriveva decorsi dieci anni dall'annotazione degli interessi passivi sull'estratto conto, anzichè dieci anni dalla chiusura del rapporto contrattuale (conto corrente, la norma aveva valore retroattivo pertanto era applivcabile a tutti i contenziosi in corso.
Cosi ha motivato ma consulta:
" Anzi, l’efficacia retroattiva della deroga rende asimmetrico il rapporto contrattuale di conto corrente perché, retrodatando il decorso del termine di prescrizione, finisce per ridurre irragionevolmente l’arco temporale disponibile per l’esercizio dei diritti nascenti dal rapporto stesso, in particolare pregiudicando la posizione giuridica dei correntisti che, nel contesto giuridico anteriore all’entrata in vigore della norma denunziata, abbiano avviato azioni dirette a ripetere somme ai medesimi illegittimamente addebitate........................La Corte europea dei diritti dell’uomo ha più volte affermato che se, in linea di principio, nulla vieta al potere legislativo di regolamentare in materia civile, con nuove disposizioni dalla portata retroattiva, diritti risultanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e il concetto di processo equo sanciti dall’art. 6 della Convenzione ostano, salvo che per imperative ragioni di interesse generale, all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia,"
"Nel caso in esame, come si evince dalle considerazioni dianzi svolte, non è dato ravvisare quali sarebbero i motivi imperativi d’interesse generale, idonei a giustificare l’effetto retroattivo. Ne segue che risulta violato anche il parametro costituito dall’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della Convenzione europea, come interpretato dalla Corte di Strasburgo."
" Pertanto, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 61, del d.l. n. 225 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 10 del 2011 (comma introdotto dalla legge di conversione). La declaratoria di illegittimità comprende anche il secondo periodo della norma («In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto»), trattandosi di disposizione strettamente connessa al primo periodo, del quale, dunque, segue la sorte." 

DANNI DA INSIDIA STRADALE

RESPONSABILITA' DELLA PUBBLICA AMM. PER DANNI DA INSIDIA STRADALE (es. buche sul manto stradale) Cassazione civile , sez. III, sentenza 08.05.2012 n° 6903
Con una recente sentenza la Corte di Cassazione ha nuovamente chiarito la propria impostazione di diritto (con riferimento all'art. 2051 C.C., ovvero alla responsabilità del custode) in ordine alla responsabilità delle P.A. , per i danni patiti dagli utenti della strada.
Suprema Corte ha specificato che i comuni sono responsabili ogni qual volta il controllo sulle strade è reso possibile da circostanze oggettive (come ad esempio la collocazione della strada nel centro abitato); non solo, la P.A. è responsabile ogni qual volta ha compiuto un'attività tale da rendere pericolosa la strada, come nel caso di cantieri incustoditi o mal segnalati.
" Ed infatti questa Corte (Cass. 16770 del 2006, 9546 del 2010) ha affermato che in riferimento al demanio stradale, la possibilità concreta di esercitare la custodia va valutata alla luce di una serie di criteri, quali l'estensione della strada, la posizione, le dotazioni e i sistemi di assistenza che la connotano, sì che soltanto l'oggettiva impossibilità della custodia, intesa come potere di fatto sulla cosa, esclude l’applicabilità dell'art. 2051 cod. civ., che peraltro non sussiste quando l'evento dannoso si è verificato su un tratto di strada che in quel momento era in concreto oggetto di custodia - come nel caso del demanio stradale comunale all'interno della perimetrazione del centro abitato o quando sia stata proprio l'attività compiuta dalla P.A. a rendere pericolosa la strada medesima, con conseguente obbligo della stessa di osservare le specifiche disposizioni normative disciplinanti detta attività nonché le comuni norme di diligenza e prudenza, ed il principio generale del "neminem laedere", essendo altrimenti responsabile per i danni derivati a terzi (Cass. 2566 del 2007, 2362 del 2011)."
Quanto all'eventuale concorso di colpa del danneggiato questo andrà apprezzato dal giudice che dovrà comunque tenere conto "dell'affidamento che l'utente ripone nel ritenere esigibile da parte della P.A., custode del bene, una determinata condotta con riguardo alle specifiche condizioni di luogo e di tempo (Cass. 5308/2007, cit.)".     
In buona sostanza il giudice deve ritenere che l'utente della strada, automobilista o pedone, ripone fiducia sulla circostanza che la strada (a seconda della sua tipologia) non presenti improvvise insidie (ad esempio buche o avvallamenti)