domenica 10 novembre 2013

UNA POESIA PER L'AUTUNNO

 
RITMO D'AUTUNNO

A Manuel Angeles                                                                         

Amarezza d'oro del paesaggio.
Il cuore ascolta.
Nell'umida tristezza
il vento disse:
-Sono tutto di stelle liquefatte,
sangue dell'infinito.
Col mio attrito metto a nudo i colori                                                      
dei fondali addormentati.
Me ne vado ferito da mistici sguardi,
e porto i sospiri
in bolle invisibili di sangue
verso il trionfo sereno                                                                          
dell'amore immortale pieno di Notte.                                                 
I bambini mi conoscono,
e mi riempio di tristezza.
Per le fiabe di regine e di castelli
sono coppa di luce. Sono turibolo
di splendidi canti
che scesero avvolti in azzurre
trasparenze di ritmo.
Nella mia anima si persero
solenni corpo ed anima di Cristo,
e fingo la tristezza della sera
freddo e malinconico
il bosco innumerabile.
Porto le caravelle dei sogni
verso l'ignoto.
E ho l'amarezza solitaria
di non sapere la mia fine e il mio destino.
Le parole del vento erano dolci,
con profondità di gigli.
Il mio cuore si addormentò nella tristezza
del crepuscolo.
Sulla scura terra della steppa
i vermi dissero i loro deliri.
-Sopportiamo tristezze
ai margini della strada.
Sappiamo dei fiori dei boschi,
del canto monocorde dei grilli,
della lira senza corde che tocchiamo,
del sentiero nascosto che seguiamo.
Il nostro ideale non arriva alle stelle,
è sereno, semplice.
Vorremmo fare miele, come api,
e avere una voce dolce o un grido forte,
o camminare tranquilli sulle erbe,
o allattare con seni i nostri figli.
Beati quelli che nascono farfalle
o hanno luce di luna nel vestito.
Beati quelli che potano la rosa
e raccolgono il grano!
Beati quelli che non temono la morte
perché hanno il Paradiso,
e l'aria che corre dietro a ciò che vuole
certa d'infinito!

 
                                       
                      - II -

Beati i gloriosi e i forti,                                                                                    quelli che non furono compatiti mai,
quelli che frate Francesco esultando
benedisse e rallegrò.
Sopportiamo grande pena
per le strade.
Vorremmo sapere quello che ci dicono
i gattici del fiume.
E nella muta tristezza della sera
la polvere della strada gli rispose:
-Beati voi, vermi, che avete
coscienza giusta di voi stessi,
e forme e passioni
e focolari accesi.
Io mi dissolvo nel sole
seguendo il pellegrino,
e quando penso ormai di restare nella luce
cado a terra addormentata.
I vermi piansero, e gli alberi,
agitando le loro teste pensierose,
dissero: - E' impossibile l'azzurro.
Da bambini credevamo di raggiungerlo,
e vorremmo essere come le aquile
ora che siamo colpiti dal fulmine.
L'azzurro è tutto delle aquile. -
E l'aquila di lontano:
-No, non è mio!
Perché l'azzurro è delle stelle
là tra splendori luminosi-,
E le stelle: -Neanche noi lo abbiamo:
sta nascosto tra di noi.-
E la scura distanza: -L'azzurro
è nel regno della speranza.-
E la speranza dice sottovoce
dal suo regno oscuro:
-Voi altri mi inventate, cuori.-
E il cuore:
-Dio mio!
L'autunno ha lasciato senza foglie
i gattici del fiume


                             - III -                                                                            

L'acqua ha addormentato nell'argento vecchiola polvere della strada
I vermi sonnolenti scendono
nei loro freddi focolari.
L'aquila si perde sulla montagna;
il vento dice: -Sono ritmo eterno.
Si sentono le ninne nanne nelle culle povere,
e il pianto del gregge nell'ovile.
La tristezza umida del paesaggio
mostra come un giglio
le rughe severe che lasciarono
gli occhi pensierosi dei secoli.
E mentre riposano le stelle
nell'azzurro addormentato,
e il mio cuore vede lontano il suo ideale
e implora:
-Dio mio!
Ma, Dio mio a chi?
Chi è Dio mio?
Perchè la nostra speranza si addormenta
e sentiamo la poetica delusione
e gli occhi si chiudono abbracciando
tutto l'azzurro?
Voglio lanciare il mio grido
sul vecchio paesaggio e il fumante focolare,
piangendo di me come il verme
deplora il suo destino,
e implorando quello dell'uomo, amore immenso
e azzurro come i gattici del fiume.
Azzurro di cuori e forza,                                                                           
l'azzurro di me stesso
che m'offra tra le mani la grande chiave
che violi l'infinito,
senza terrore e paura della morte,
brillante d'amore e poesia
anche se il fulmine mi colpisce come un albero                            
e mi lascia senza foglie e senza grido.
Ora ho sulla fronte rose bianche
e la coppa trabocca di vino.


  
                                            §§§                                     

Lorca è sicuramente il poeta che amo di più, forse anche perché l'ho scoperto quando ero molto giovane, credo a quattordici anni. A quell'età, ancor privi di esperienza e di cultura, si è dotati di una  tale dose di sensibilità che, il verso, la parola, l'immagine, ti trafiggono come il raggio di sole di Quasimodo.
Leggendo Garcia  Lorca, sin dai primi versi, il lettore perde il contatto con il reale (che poi il reale è solo percezione soggettiva) e si trova in un mondo surreale ove il vento, il mare, i pesci, la luna e le stelle dialogano, cantano, piangono. Il vento satiro solleva le sottane delle ragazze, la luna conduce i bambini per mano.
La poesia di Lorca trabocca di forza vitale e di sanguigna sensualità, quella del poeta stesso che l'amico Pablo Neruda così descrive :
"non ho mai visto riunite, come in lui, la grazia e il genio, il cuore alato e la cascata cristallina ,aveva un’allegria centrifuga, una felicità di vivere, una luce che raccoglieva in  seno e la irradiava agli altri, come fanno i pianeti…. "
Ma la sua vitalità immaginifica deve costantemente misurarsi con il male di vivere, così l'allegrezza si alterna  alla profonda tristezza...... "la tristezza che ebbe la sua coraggiosa allegria".
Ritmo d'autunno bene rappresenta la poesia di Lorca, vi è dentro tutto il suo mondo, per noi inanimato e materiale, per Garcia vivo e disperato; e tutti questi esseri della terra, del mare e del cielo (anima mundi) sono alla ricerca della grande chiave che violi l'infinito, senza terrore e paura della morte.

Luigi Riccio
                                                                                        Disegno di Lorca
 
                                    


 
 

 
 
 
 

 
 

 


Salvator Dalì e Garcia Lorca



                                                    












Quadro di Dalì ( in fondo a destra il ritratto di Lorca)