(tratta da Google immagini)
LE RAGIONI DI ANTIGONE….. Sofocle e l’avv. Piero Calamandrei
Quando è giusto non osservare la legge ?
E ancora; la legge, come deve essere
interpretate dai giudici ?
Un tema difficile quanto antico, quello della contrapposizione tra i valori della legalità e quelli
dell’obbiezione di coscienza, che si estrinseca attraverso la disubbidienza
civile o la manifesta protesta. Protesta che spesso irrompe nelle piazze con
modalità violente ed in certi casi trasmuta in rivoluzione.
Nel 442 a.c., durante le Grandi Dionisie che si svolgevano
ad Atene, Sofocle propose questo insidioso argomento ai suoi concittadini,
attraverso la rappresentazione della tragedia “Antigone”.
Alla fanciulla che per anni aveva condotto per mano, nel suo
peregrinare, il padre Edipo misero e cieco per volere del fato, il genio poetico di Sofocle aveva ora
riservato altro destino; quello di rappresentare per i secoli futuri il dilemma
della scelta tra opposti valori.
E’ legittimo opporsi ad una legge ingiusta? E’ bene che i
giudici la disapplichino quando essa è in contrasto con i più alti valori
dell’etica, o è bene essere sempre remissivi di fronte all’autorità dello stato,
che si esprime attraverso le sue leggi?
L’evolversi del pensiero giuridico ha in parte dato delle
risposte, ma il conflitto non è sedato e la casistica delle vicende umane
impone costantemente le opportune riflessioni.
Antigone, si aggira
ancora tra noi; con i suoi corvini capelli
scarmigliati ed il suo fiero incedere ispira ancora i nostri pensieri e a volte
ha ingresso nei nostri tribunali.
Il 30 marzo 1956 la fanciulla di Tebe condusse per mano il
grande avvocato Piero Calamndrei ed ispirò la sua arringa in difesa di Danilo Dolci.
Dolci, l’intellettuale e poeta soprannominato “il Ghandi
italiano”, autore di molte opere e promotore di molte proteste civili, era
sotto processo a Palermo per aver
capeggiato una pacifica protesta contro le autorità siciliane, che non provvedevano a dare lavoro
ai disoccupati nonostante la possibilità di impegnarli in utili opere pubbliche.
Dolci aveva convinto un certo numero di disoccupati ad iniziare lavori di
sterramento e di assestamento in una vecchia strada comunale abbandonata, in
prossimità di Trappeto (Palermo).
Era una rimostranza pacifica ed originale, un modo nuovo di
scioperare, venne definito lo “sciopero
al contrario”: - mi neghi il lavoro?..... Bene, io lavoro lo stesso e
gratuitamente - .
Era la lotta pacifica e civile degli umili contro il potere
e contro la mafia.
Era la protesta dei cafoni di “Fontamara”.
Ma la polizia locale
aveva arrestato Dolci ed il Tribunale di Palermo lo processava per la
violazione degli artt. 341 (oltraggio a pubblico ufficiale), 415 (istigazione a
disobbedire alle leggi) e 633 (invasione di terreni) del Codice penale.
Calmandrei, avvocato antifascista, docente di diritto, membro dell’Assemblea Costituente del 1945,
intellettuale di sinistra, assunse la difesa di Dolci.
La sua arringa avanti ai giudici palermitani è un esempio
mirabile di come la cultura e la tecnica
forense, possano giovare alla causa della giustizia.
E’ impossibile per il grande giurista, in quell’occasione,
durante quel processo straordinario per risonanza e importanza emblematica, non
introdurre in aula, quasi fosse una testimone a discarico, la sempre giovane
Antigone:
“ Al centro di questa vicenda giudiziaria c'è,
come la scena madre di un dramma, un dialogo tra due personaggi, ognuno dei
quali ha assunto senza accorgersene un valore simbolico.
E’, tradotto in cruda rossa di cronaca
giudiziaria, il dialogo eterno tra Creonte e Antigone, tra Creonte che difende
la cieca legalità e Antigone che obbedisce soltanto alla legge morale della
coscienza, alle "leggi non scritte" che preannunciano l'avvenire.
Nella traduzione di oggi, Danilo dice:
"per noi la vera legge e la Costituzione democratica"; il commissario
Di Giorgi risponde: "per noi l'unica legge è il Testo Unico di pubblica
sicurezza del tempo fascista".
Anche qui il contrasto è come quello tra
Antigone e Creonte: tra la umana giustizia e i regolamenti di polizia; con
questo solo di diverso, che qui Danilo non invoca leggi "non
scritte". (Perché, per chi non lo sapesse ancora, la nostra Costituzione è
già stata scritta da dieci anni.)
Chi dei due interlocutori ha ragione?
Forse, a guardare alla lettera, hanno ragione
tutt’e due.
Ma a chi spetta, non dico il peso e la
responsabilità, ma dico il vanto di decidere, sotto questo contrasto letterale,
da che parte è la verità: a chi spetta sciogliere queste antinomie?
Siete voi, o Giudici, che avete questa
gloria: voi che nella vostra coscienza, come in un alambicco chimico, dovete
fare la sintesi di questi opposti.
Ecco che ad un certo punto il giurista si rivolge ai giudici palermitani
esortandoli a ricercare nella
COSTITUZIONE la soluzione del caso in
esame; Calamandrei si fa precursore di quello che oggi, a distanza di
cinquant’anni, è un principio consolidato: i giudici devono interpretare le
norme in modo “costituzionalmente orientato”.
“Ma che cosa sono le leggi , illustre
rappresentante del P.M. se non esse stesse "correnti di pensiero"? Se
non fossero questo, non sarebbero che carta morta: se lo lascio andare, questo
libro dei codici che ho in mano, cade sul banco come un peso inerte.
E invece le leggi sono vive perché dentro
queste formule bisogna far circolare il pensiero del nostro tempo, lasciarvi
entrare l'aria che respiriamo, mettervi dentro i nostri propositi, le nostre
speranze, il nostro sangue e il nostro pianto.
Altrimenti le leggi non restano che formule
vuote, pregevoli giochi da legulei; affinché diventino sante, vanno riempite
con la nostra volontà………….... Anche
oggi l'Italia vive uno di questi periodi di trapasso, nei quali la funzione
dei giudici, meglio che quella di difendere una legalità decrepita, è quella di
creare gradualmente la nuova legalità promessa dalla Costituzione.
La nostra Costituzione è piena di queste
grandi parole preannunziatrici del futuro: "pari dignità sociale";
"rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona
umana"; "Repubblica fondata sul lavoro"; "Diritto al
lavoro"; "condizioni che rendano effettivo questo diritto; assicurata
ad ogni lavoratore e alla sua famiglia "un'esistenza libera e
dignitosa"...
Il processo a Dolci si concluse come era naturale che si
concludesse, con la condanna dell’imputato. Ma come lo stesso Calamandrei aveva
predetto nel suo discorso, la storia lo avrebbe ricelebrato sovvertendo la
sentenza.
Il grande avvocato aveva immaginato che gli storici, a
distanza di anni, avrebbero recuperato i fascicoli polverosi del processo per
rivisitarlo alla luce di un più evoluto pensiero giuridico; certo non
immaginava, nel 56, che Internet avrebbe dato la possibilità a chiunque di
conoscere il processo e di giudicarne i protagonisti.
Questa pubblicazione sul nostro Blog vuole essere un
modestissimo contributo alla conoscenza dei fatti ed uno stimolo alla
riflessione.
Luigi Riccio
Si segnala il libro: “Lo stato siamo noi”, edito da Instant Book Chiarelettere, contiene i discorsi di Calamandrei sulla Costituzione e l’arringa del processo Dolci
(Il testo completo della difesa di Danilo Dolci è reperibile
su Internet)
Questione interessante civilmente ed eticamente quella posta da Calamandrei e dalle coscienze che da sempre dibattono sul tema. Quando è legittimo non rispettare la legge? Quando la legge morale, la propria legge interiore deve prevalere su quella dello Stato?
RispondiEliminaUna risposta alla domanda la dava Socrate circa 400 anni prima di Cristo .
Accusato ingiustamente di corrompere i giovani coi suoi insegnamenti, di introdurre divinità nuove e non riconoscere come Dei quelli tradizionali della città , Socrate tenta d'avanti al Tribunale l'autodifesa, ma l'esito del processo è scontato: condanna a morte!
A questo punto gli amici di Socrate , consci dell'ingiustizia della condanna gli consigliano la fuga.
La risposta di Socrate è decisa : la fuga sarebbe contraria alle leggi della polis ed egli non ha nessuna intenzione di trasgredire alle leggi.
Nel Critone , Platone riporta il dialogo tra Socrate e le leggi, un dialogo dal quale chiaramente si evince che bisogna sottostare alle leggi ed alle sentenze qualunque esse siano. Non rispettare le leggi significa sovvertire l'ordinamento della città (e dunque dello Stato) e diventare empi nei confornti della collettività.
Socrate rifiuta di diventare empio, rifiuta l'esilio perchè , dice, non potrebbe vivere che nella sua città, ed accetta la morte ingiusta.
Scelta coerente e da uomo giusto.
Se sia stata "giusta" la scelta di Antigone o quella di Socrate difficile a dirsi ....certo che abbiamo d'avanti grandi personaggi e grandi ideali e da qualunque parte ci si schieri non si può che rispettare la magnificenza e la coerenza morale della scelta ; nulla a che vedere con le scelte piccole di uomini piccoli che le vicende contemporanee ci hanno abituato a vedere!